E’ almeno dalla fine degli anni
’80 che le cose si sono incanalate in questa direzione. Era il periodo dove le
parole “sviluppo”, “crescita”, “progresso” venivano pronunciate da
amministratori tanto boriosi quanto incompetenti. La trasformazione di un
piccolo borgo alle porte di Roma in periferia metropolitana è iniziata così.
Certo, l’espansione edilizia non è stata accompagnata dai promessi vantaggi per
la piccola economia locale – esclusi i pochi che si sono arricchiti con le
speculazioni fondiarie – e paradossalmente il livello e la qualità dei servizi
si è persino ridotta, così come gli esercizi commerciali quasi completamente
scomparsi dal centro storico. A fronte di una popolazione triplicata è
diminuito il numero dei dipendenti comunali, i servizi e le infrastrutture sono
rimasti pressoché invariati e in alcuni casi sono diventati inadeguati per le
nuove esigenze e tutte le nuove zone hanno criticità enormi. La politica
edilizia ha tenuto principalmente conto delle esigenze dei costruttori e non si
è preoccupata di rispettare una corretta pianificazione urbanistica. Spesso
sono stati realizzati immobili con destinazioni d’uso reali difformi da quelle
risultanti sulla carta (locali commerciali inseriti all’interno di civili
abitazioni, garage sulla carta ma soggiorni di fatto, ecc.). Tutte cose
piuttosto note e che è difficile immaginare che gli amministratori ignorassero.
Né si erano mai preoccupati del fatto che gli immobili venissero venduti
tranquillamente ancorché privi del certificato di agibilità, tema sul quale avevo
inutilmente cercato di sollecitare l’amministrazione in passato. Siamo andati
avanti per oltre vent’anni in una situazione in cui la svendita del territorio
non stava neppure portando un ritorno in termini di entrate per le casse
comunali, né per gli oneri di urbanizzazione (scomputati a favore di opere
fantasma) né per le tasse sugli immobili (almeno in misura sufficiente a
coprire l’aumento dei costi dei servizi).
E probabilmente le cose sarebbero
andate avanti ancora così se – sempre grazie all’incapacità di chi amministra –
non ci fossimo trovati, a seguito del sequestro dei depuratori (inadeguati a
far fronte all’enorme aumento della popolazione), un debito da pagare di
diversi milioni di euro e ad un passo dalla bancarotta. A questo punto l’Amministrazione
si è accorta che l’unica soluzione era quella di ricordarsi che esiste un
patrimonio immobiliare sul quale l’imposizione fiscale era stata, come dire,
trascurata. In fretta e furia si è dato mandato ad una società per fare quello
che non era stato fatto in vent’anni e per recuperare più soldi possibile (la
corsa di fine anno era motivata dall’esigenza di includere l’anno 2009).
Peccato che, a far e in fretta, le cose non riescano particolarmente bene e ci
siamo trovati di fronte alla pioggia, all’acquazzone, alla bufera delle
cartelle esattoriali. Secondo i dati forniti a Maurizio Spezzano, che è andato
a d informarsi presso il comune, il numero delle lettere inviate ammonta ad
oltre 9mila. In media una e mezza a labicano, compresi i neonati. L’importo
complessivo che il comune ritiene di recuperare è di quasi 12 milioni di euro.
In sostanza, sempre contando anche i neonati, in media ogni cittadino labicano
avrebbe un debito di 2mila euro verso il comune. Sarebbe un vero e proprio
evasore. E non lo diciamo noi, per fare terrorismo, come afferma la
precisazione del sindaco, che quando si vergogna di quello che combina non mette
nome e cognome in calce al comunicato istituzionale.
Le frasi del primo comunicato dell’amministrazione
sono abbastanza chiare. Si parla di un “accertato e apprezzabile livello di
evasione”. E, poche righe dopo, si chiede che i cittadini “comprendano di aver
agito non solo contro la legge ma anche a danno della comunità di cui fanno
parte”. Non è stata quindi l’amministrazione a creare le premesse per una
situazione di così ampia portata, ma i cittadini che agiscono contro la legge.
Salvo poi affermare che la stragrande maggioranza dei cittadini sono persone
oneste e coscienziose. Quindi rimane da capire come è possibile che in una
comunità di 6mila anime, vi sia una minoranza così irrispettosa della legge da
riuscire a ricevere ben 9583 avvisi di pagamento.
La seconda comunicazione è altrettanto
interessante. L’intento è quello di tranquillizzarci e di questo siamo tutti
molto lieti. Il presupposto è che le banche dati del Comune (amministrato da
loro dal secolo scorso) “non sempre sono aggiornate” (eufemismo per dire che
non ci stanno capendo nulla), che “si è provveduto ad annullare e rettificare
diversi provvedimenti viziati da errori” e che “sono in corso di notificazione
numerosi atti di annullamento degli avvisi precedentemente notificati”. Insomma
vi è arrivata una roba da pagare, ma può darsi che non la dobbiate pagare.
Forse vi arriverà una notifica di annullamento o forse no. Ma, insomma, devo
pagare? Boh! Non si sa. L’unica cosa certa è che chi lavora dovrà prendere un
giorno di ferie o di permesso per andare a cercare di capirci qualcosa.
Immancabile, al termine della comunicazione, l’ormai abituale intimidazione nei
confronti di chi osi criticare sua maestà, con la rituale minaccia di denuncia
alla Procura della Repubblica. Perché chi amministra ha il pieno diritto di
essere un pessimo amministratore, ma chi viene amministrato non ha alcun
diritto di farglielo notare.
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