5 dicembre 2014

Come nascono le terre di mezzo?


L’intreccio tra affari, politica e criminalità organizzata scoperchiato a Roma dallo straordinario lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine mette in luce la principale debolezza del nostro Paese rispetto ai nostri partner europei: l’insofferenza – culturale, prima di tutto – alle regole ed alla trasparenza. Intervenire su questo aspetto sarebbe la vera grande “riforma” che permetterebbe di riallinearci agli altri paesi occidentali. Non la riduzione delle tutele per i lavoratori, non la cancellazione delle norme di salvaguardia ambientale, non certo le semplificazioni procedurali su appalti e opere pubbliche (che, anzi, facilitano illegalità e ruberie). Peccato che sia un intervento molto difficile, soprattutto da parte di quella politica che alimenta, almeno in parte, i propri consensi proprio grazie a meccanismi di gestione non proprio inappuntabile delle risorse pubbliche. E, attenzione, questo non significa necessariamente contiguità con pezzi di criminalità organizzata. Significa però creare le condizioni per contaminare un sistema istituzionale. All’inizio con piccole irregolarità che diventano sempre più gravi e sistematiche e che possono trasformarsi in veri e propri illeciti, dando vita alla fine ad un meccanismo in cui la violazione diventa norma e dal quale è difficile tornare indietro. E’ importante allora intervenire al primo segnale, perché non è necessario che le irregolarità abbiano rilevanza penale per creare distorsioni, sprechi ed iniquità. E, tantomeno, bisogna aspettare che vengano fuori collusioni con la mafia e la criminalità organizzata per gridare allo scandalo. Bisogna intervenire prima. Bisogna intervenire subito.
Ed è questa la ragione per la quale 5 anni fa abbiamo esaminato con molta attenzione il caso di un appalto pubblico a Labico, rilevando numerose anomalie. La storia è in parte nota e ne farò una brevissima ricostruzione. A novembre del 2009 venimmo a sapere dell’esistenza di una procedura d’appalto per i lavori di ampliamento della scuola media. L’importo, per un piccolo comune, era significativo. Si parla di qualcosa come 700mila euro, che però vennero “frazionati” nel bando di gara, forse per stare sotto la soglia di 500mila euro (opportunamente elevata dal Governo Berlusconi poco tempo prima) e potersi avvalere di una procedura ristretta (quindi soggetta a meno controlli). Nonostante la procedura ristretta rilevammo una serie inquietante di anomalie, delle quali mettemmo a conoscenza il sindaco di Labico, chiedendo di sospendere la procedura di gara. Né il sindaco di allora, Andrea Giordani, né il sindaco di oggi (all’epoca responsabile degli appalti pubblici), Alfredo Galli, ritennero che ci fossero delle irregolarità e fecero tranquillamente concludere il bando. A quel punto non potemmo fare altro che raccogliere l’intera documentazione, predisporre una dettagliata relazione e portarla all’esame del nostro gruppo politico per un’azione comune. La nostra ferma intenzione era quella di trasmettere tutto immediatamente alla magistratura affinché verificasse eventuali illeciti. Alcuni consiglieri ci hanno chiesto di aspettare per valutare se aggiungere la propria firma e siamo stati costretti ad attendere oltre un mese per poter depositare il fascicolo alla Procura della Repubblica di Velletri. Un mese durante il quale, a quanto pare, tutta la nostra documentazione è finita nelle mani di uno degli attuali imputati, facilitando eventuali strategie difensive.
Probabilmente questa vicenda è stata una delle cause della rottura della coalizione e il segretario del Partito Democratico di Labico ne ha, in seguito, preso pubblicamente le distanze.
In realtà le cose stanno un po’ diversamente, abbiamo dovuto aspettare qualche anno, ma, alla fine, a maggio di quest’anno, siamo venuti a sapere, poiché chiamati in qualità di testimoni al processo, che la magistratura aveva confermato la presenza di illeciti, avviato un’indagine e rinviato a giudizio alcune persone. Di tutto ciò era informato il sindaco di Labico, il quale, oltre ad essersi guardato bene dal rendere nota la vicenda, non si è neppure preoccupato di tutelare gli interessi economici della comunità che è chiamato ad amministrare, costituendosi parte civile. Sì, perché un reato contro la pubblica amministrazione vuol dire, verosimilmente, danno economico per la pubblica amministrazione. E nel nostro caso i conti sono presto fatti, basta leggere le carte processuali: l’appalto di 500mila euro l’ha vinto una ditta che ha fatto un ribasso di pochi punti percentuali, mentre sarebbe stato possibile un ribasso tra il 20 e il 25 per cento (come affermato dal responsabile di una ditta il cui nome era stato utilizzato per presentare una falsa domanda, al fine di raggiungere il numero minimo di offerte), con un risparmio di circa 100mila euro. Basta moltiplicare questo valore per tutti gli appalti per capire l’entità dello spreco di risorse pubbliche che può essere causato da una “maldestra” amministrazione.
Al processo abbiamo deciso di avvalerci della cosiddetta “azione popolare” che consente anche ai semplici cittadini di intervenire in sede penale in sostituzione della pubblica amministrazione inerte e costituirsi parte civile. In pratica ci siamo fatti carico noi (e a nostre spese) di quello che Galli & company non hanno voluto fare. Abbiamo chiesto anche ai nostri ex compagni di viaggio di unirsi in questa battaglia, ma – in coerenza forse con il cambio di rotta di due anni prima – hanno preferito non rispondere.
L’aspetto che accomuna questa vicenda a quella – indubbiamente ben più grave – che ha sconquassato la politica della Capitale - in un intreccio che vede coinvolti esponenti di spicco di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Partito Democratico – è che uno dei reati più contestati ai 100 tra indagati e arrestati dell’operazione “Terra di mezzo” è quello di “turbativa d’asta”, ossia lo stesso reato contestato agli imputati del processo labicano. La turbativa d’asta consente, in linea teorica, a soggetti estranei all’amministrazione di costruire un accordo per pilotare dall’esterno l’esito di un bando pubblico. E’ facile intuire che è molto difficile un’operazione di questo tipo senza nessun tipo di informazione che provenga dall’interno dell’amministrazione e, tantomeno, se – durante l’iter procedimentale – viene segnalata – come abbiamo fatto noi - la presenza di un’anomalia grave.
Come abbiamo avuto modo di dire in piazza, non crediamo che il nostro giudizio si debba basare esclusivamente su vicende che abbiano un rilievo penale e non ci interessa quale sarà l’esito del processo, perché la documentazione processuale dimostra in modo inequivocabile quello che noi abbiamo evidenziato sin dall’inizio: la regolarità dell’affidamento di quei lavori era fortemente incrinata da molteplici anomalie che non potevano certo attribuirsi al caso e questo ha comportato un esborso di soldi pubblici più elevato e minori garanzie di qualità di esecuzione dei lavori. La responsabilità – politica e amministrativa – per noi è già sufficiente per esprimere un giudizio negativo su chi ha permesso che ciò avvenisse. E un po’ di responsabilità – sempre politica – ce l’ha anche chi ha preferito tapparsi gli occhi di fronte all’evidenza. Ed è proprio chi si gira dall’altra parte, chi fa finta di niente, chi non vuole pestare i piedi a lasciare libero – più o meno consapevolmente – quello spazio dove si può insediare la “terra di mezzo”. Noi non ci siamo girati dall’altra parte.


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

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