9 novembre 2012

Diffamazione: difendere un principio o una categoria?



Mi dicono che sulla bacheca del presidente dell'ordine dei giornalisti è apparso un appello per raccogliere dati sulle querele e citazioni in giudizio per diffamazione.




Ho deciso di mandargli questa mail.






Gent.mo Enzo Iacopino,

Su internet gira un suo appello per raccogliere dati di querele/citazioni per diffamazione. Mi piacerebbe rispondere alla sua richiesta. Nei miei confronti è stata annunciata, a mezzo stampa, una querela (peraltro mai vista) e sono stato citato in giudizio per una richiesta di risarcimento danni. E’ successo per aver scritto un articolo su un foglio di informazione locale (tra l’altro denunciato per “stampa clandestina”) in merito al rilascio di un permesso di costruire, sulla cui legittimità avevo espresso alcune perplessità. La controparte è il potentissimo sindaco di un piccolo comune e ha pensato bene di chiedermi 50mila euro. Impensabile fare politica a livello locale con simili “minacce”. Temo, però, che il mio caso possa non interessarle. Non ho scritto su una testata giornalistica (del resto non è facile trovare giornali registrati che si occupano di alcune questioni locali) e non sono un giornalista. Quindi, la sacrosanta battaglia per la difesa di alcuni principi potrebbe, paradossalmente, diventare classista. Anzi - se dovesse passare il meccanismo che tutela i giornalisti professionisti escludendo per loro l’ipotesi di pene detentive, ma solo sanzioni pecuniarie - le “classi” diventerebbero tre. Al livello più basso i semplici cittadini, magari impegnati in difficili lotte su temi ambientali, sociali, culturali e per i diritti, che sarebbero privi di ogni forma di tutela. Poi ci sarebbero i giornalisti “sfigati”, quelli che scrivono per piccole testate oppure portano avanti faticosamente giornali locali di approfondimento e inchiesta. Senza sponsor e senza finanziatori. Loro non potrebbero certo permettersi contenziosi legali e risarcimenti milionari e sarebbero costretti ad una certa cautela. Infine ci sarebbero i giornalisti alla Sallusti (mi perdoni la semplificazione antonomastica). Con le spalle coperte da ricchi editori, non avrebbero problemi a portare avanti campagne realmente denigratorie. Qualcuno disposto a pagare il “disturbo” lo troverebbero sicuramente. Mi piacerebbe che la vostra battaglia – che condivido e appoggio a prescindere – fosse a tutto tondo per la difesa dell’articolo 21 della Costituzione. Se desidera, le mando i miei “dati” per la sua indagine. Altrimenti, grazie comunque per l’attenzione.


Tullio Berlenghi

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