Sarà l’età, ma divento sempre più
diffidente. L’operazione della “dismissione” dei terreni agricoli – si parla di
un valore di sei miliardi di euro – mi preoccupa molto. Intanto perché queste
operazioni di cassa sul modello di “pochi, maledetti e subito” attraverso la
rinuncia al proprio patrimonio, ha tutta l’aria di un’operazione disperata,
tipica di chi ha gestito i propri beni in modo irresponsabile e dissoluto. Non
si tratta della svendita dell’argenteria di famiglia, a cui si può pensare di
fare ricorso in un momento di estrema difficoltà. Perché l’argenteria ha un
valore economico, ma non sostanziale. Fa parte del superfluo e, quando le cose
non vanno benissimo, al superfluo si può – e si deve - rinunciare. La terra,
invece, costituisce un valore essenziale. E la terra agricola rappresenta una
piccola garanzia per noi, per il nostro futuro e per quello dei nostri figli.
Tra le righe della norma che consente la dismissione dei terreni agricoli io
leggo rischi enormi di speculazione. Da un lato il meccanismo della vendita
diretta per i terreni al di sotto dei 400mila euro potrebbe agevolare
operazioni non esattamente limpide. Dall’altro si esplicita tranquillamente la
possibilità che quei terreni possano cambiare la propria destinazione
urbanistica. Probabilmente qualcuno avrà già individuato quelli dove si può
speculare meglio, magari con l’aiuto di amministrazioni compiacenti, che non è
mai troppo difficile trovare. A dirlo adesso si rischia di essere tacciati per
i soliti malpensanti dietrologi, sempre pronti a fare i processi alle
intenzioni. Ora bisogna risanare i conti pubblici e non c’è tempo per
preoccuparsi di ingiustificati sospetti. Eppure, proprio in questi drammatici giorni
in cui le nostre città sono state flagellate dal maltempo, da molte autorevoli
voci si è alzato il monito sull’eccessivo consumo di suolo, sull’abbandono
dell’agricoltura (che non si risolve con speculazioni immobiliari) e sulle
conseguenze di un cattivo governo del territorio sul rischio idrogeologico. Niente
da fare. Bisogna fare cassa in fretta e non possiamo certo mettere le mani
sugli stratosferici investimenti nel settore militare. Perché penalizzare il
business degli armamenti, quando possiamo dare nuova linfa a quello del
cemento?
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