28 luglio 2011

Il percorso accidentato della costituente ecologista


C’è qualcosa che non mi convince nel percorso della costituente ecologista. Si fa un largo uso della parola partecipazione, ma poi si assiste a meccanismi e dinamiche in cui le scelte sono – sostanzialmente – calate dall’alto. Non ho mai smesso di far parte dei Verdi e seguo con grande interesse dall’inizio il tentativo di dare vita al nuovo soggetto politico, ma provo un po’ di disagio nel dovermi sentire, ancora una volta, intruso in quella che considero casa mia, la casa ecologista. Una casa che, negli ultimi vent’anni, ha visto passare tante persone: inquilini, coinquilini, affittuari, subaffittuari, ospiti, imbucati e via dicendo. Per periodi più o meno lunghi e con pretese più o meno larghe. Ogni tanto assisto a qualche “cambio di rotta”, a qualche “nuovo corso” a qualche “rifondazione”. Di solito questi momenti sono accompagnati dalla speranza che il cambiamento produca effetti positivi, per il soggetto politico e, perché no, per la politica ambientale e dei diritti del Paese. Ho quindi cercato di essere presente al maggior numero possibile di iniziative. Ho anche tentato di dare, quando consentito, un contributo al dibattito politico. Anche con qualche difficoltà, visto che i miei impegni – personali e di lavoro – non sempre si conciliano tanto agevolmente con questa scelta. Riconosco il grande lavoro svolto da Angelo Bonelli e dalle persone che lo hanno affiancato in questo difficile momento di recupero della credibilità dei Verdi e sono ben lieto che qualche risultato si stia vedendo. Però gli ultimi appuntamenti mi hanno convinto poco. La “duegiorni” preconfenzionata e autocelebrativa della costituente mi è sembrata prevalentemente un evento mediatico e c’è stato ben poco spazio per l’elaborazione programmatica. Mi aspettavo che questo spazio si sarebbe trovato negli appuntamenti successivi. Ho scoperto, però, che questo spazio non c’era. Era stato nominato un gruppo di lavoro della Costituente, che si è incontrato una prima volta e che si incontrerà di nuovo a Perugia. Ho chiesto come si fa a partecipare a Perugia. Mi è stato detto che non si può. La ragione è del tipo “mica possiamo fare un’assemblea ogni volta”. Prevalgono, come troppo spesso è capitato in passato, le logiche dell’esclusione su quelle dell’inclusione. Come se il rischio fosse che da 50 persone si possa passare a 5000 (magari). Il ragionamento dovrebbe essere impostato in modo completamente opposto e provare a capire se c’è l’opportunità di passare da 50 a qualcosa di più. Sono fermamente convinto che difficilmente si arriverebbe a 100. Sarebbe davvero questo il problema? O non sarebbe invece un problema il rischio di scoraggiare chi davvero crede nel valore della partecipazione. Con grande fatica ho preso parte a diverse iniziative del tormentato cammino dell’ultimo periodo (Firenze, Bologna, Roma, ecc.). Andrò in bicicletta a Perugia e farò la marcia Perugia-Assisi, come ho fatto tante altre volte, per convinzione e non per calcolo politico (l’avevo programmato prima di sapere della concomitanza con l’appuntamento della costituente). Poteva essere una nuova occasione di partecipazione e confronto. Non sarà così. Passerò davanti ad una porta chiusa e mi incamminerò, su una strada aperta, verso Assisi. Il mio simbolo sarà la bandiera della pace.

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