18 maggio 2011

Amministrative 2011. Si volta pagina?


Uno dei principali problemi dell’analisi di un voto è quello di capire le ragioni del risultato elettorale. Ragioni che, gli interpreti degli schieramenti in campo, tendono ad attribuire a fattori completamente diversi a seconda del risultato. Anche perché non è facile capire quanto abbia pesato, nella scelta degli elettori, la qualità dell’amministrazione uscente. Spesso sono state bocciate ottime amministrazioni, così come talvolta mediocri compagini di governo sono state premiate dai propri cittadini. In certi casi è stato determinante un modello pulito e corretto, in altri è stato il voto clientelare a condizionare il risultato finale. E anche sulle scelte programmatiche nulla può essere dato per scontato: quanti “cementificatori” hanno avuto la benedizione dei propri elettori? In altre occasioni sono state le scelte di tutela del territorio e dell’ambiente a fare breccia nell’elettorato.  Per non parlare del condizionamento della politica nazionale. Mai come in questa circostanza la politica nazionale si è lanciata nell’arena delle amministrative. Personalmente nutro sempre qualche riserva sull’utilizzo dei “nomi forti” come specchietto per l’elettorato. Questo equivale, a mio avviso, a considerare gli elettori alla stregua delle allodole ed è un tantino offensivo. Non si può negare che non sempre gli elettori riescono a dimostrare una effettiva capacità di critica e di analisi e la superficialità con cui a volte votano li rendono facile preda degli imbonitori di mestiere. Questa volta, a quanto pare, i trucchetti del presidente del consiglio, ancorché ampiamente collaudati, non hanno sortito l’effetto sperato. E, come dicevo prima, non è facile capire perché. Una cosa è abbastanza certa: il suo proverbiale fascino questa volta ha fallito miseramente. Del resto solo un ingenuo – non me ne vogliano i 27mila milanesi – può pensare che abbia un senso dare la propria preferenza a qualcuno che in consiglio comunale non ci entrerà mai. Questo metodo, delle candidature “famose”, è purtroppo diffuso sia a destra che a sinistra. Serve ad aumentare i consensi. Pare. Perché pensiamo che gli elettori siano come i bambini (e Berlusconi questo l’ha detto senza mezzi termini), che si lasciano abbindolare dalla confezione colorata del prodotto. E una classe politica mediocre, anziché impegnarsi per avere un corpo elettorale maturo e responsabile, si lancia in questa sciatta rincorsa del consenso.
Un’altra mossa che non sembra aver prodotto il risultato sperato è quella di accattivarsi le simpatie di chi viola la legge. La promessa di fermare le demolizioni a Napoli è una delle più squallide trovate di un uomo  del tutto privo di ogni senso delle istituzioni, dello Stato, della legalità. A parte l’assoluta insensatezza di una sanatoria specifica per un determinato territorio. Perché gli abusi di Napoli sì e quelli di Bari o di Palermo no? E cosa ne pensano le persone che hanno scelto di rispettare la legge, che sono presumibilmente di più di quelle che non la rispettano? Quante sono le persone oneste a Napoli e in Italia? Perché dovrebbe ripagare – in termini di consenso – una politica che solletica gli istinti peggiori di ognuno di noi? Probabilmente ha funzionato fino ad ora. Ma siamo davvero certi che in un paese in cui ognuno è libero di violare le regole staremmo meglio? Gli abusi edilizi non sono solo quelli che ci permettono di avere una casa più grande a basso costo. Sono anche quelli che consentono al nostro vicino di costruire una palazzina che ci toglie la vista del sole. Sono anche quelli che costringono gli enti locali ad aumentare le spese per andare a portare i servizi a tutti quelli che non hanno rispettato gli strumenti urbanistici. E gli onesti pagano. Due volte. La prima perché hanno fatto le cose in regola (e pagato il dovuto). La seconda perché la disonestà degli altri finisce a carico dell’intera collettività. Non mi faccio troppe illusioni, perché troppe volte - negli ultimi 17 anni - ho sperato in una presa di coscienza da parte delle persone, però ho la speranza che questo voto possa rappresentare un primo passo di quella che Gianni Mattioli, nell’appassionato intervento con cui, in un’infreddolita piazza labicana, invitava a sostenere i referendum su acqua e nucleare, definiva una inevitabile “rivolta degli onesti” con cui dobbiamo riuscire a liberarci di una cultura di governo che troppi danni ha fatto all’Italia e agli italiani.

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