8 febbraio 2011

Una riflessione sul conclave di Bologna del 29 e 30 gennaio 2011


Ho partecipato all’ecoconclave di Bologna. Non è stato facile organizzarsi per dedicare due giorni all’iniziativa, ma mi sembrava importante esserci. Mi accompagnava un cauto entusiasmo e il bisogno di avere un punto di riferimento. Il desolante quadro politico ha reso diversi milioni di cittadini “orfani” di rappresentanza istituzionale. Si potrebbe discorrere a lungo sulle cause che sono alla base di questa situazione. Si potrebbe cercare di individuare colpe e responsabilità. Probabilmente non serve o, perlomeno, non è la priorità. Bisogna intanto cercare di capire quali sono gli obiettivi che si prefiggevano le persone che si sono riunite a Bologna, come raggiungerli e come organizzarsi per farlo.
A Bologna c’erano molte persone che non si conoscevano. C’erano gruppi che avevano lavorato (e che stanno lavorando) in modo autonomo, ma con moltissimi punti in comune. Dal punto di vista dei contenuti mi sembra di poter dire che si era registrata una grande condivisione di intenti. Nella suddivisione dei gruppi di lavoro, io ho seguito proprio quello sui contenuti ed ho potuto notare (e apprezzare) proprio questo aspetto positivo. Non sembrava – come spesso avviene nelle aggregazioni politiche – una melassa indistinta in cui le posizioni sui singoli temi possono essere le più disparate. Tutti i partecipanti erano accomunati dal medesimo approccio etico e culturale. Probabilmente potranno esserci differenti visioni su aspetti marginali, ma un comune denominatore c’era ed era di notevole spessore. Mi era sembrato un buon punto di partenza, ma – forse – ho peccato di ottimismo.
In effetti i contenuti, forse proprio perché dati per “scontati”, non sono stati al centro dell’attenzione dei “conclavisti”, molto più attenti ad altre due questioni: regole e alleanze. Proprio questi aspetti hanno dato vita ad un clima – non proprio gradevole – di diffidenza degli uni verso gli altri, creando la sensazione che qualcuno si sentisse un po’ più puro e un po’ più pulito degli altri. Atteggiamento che, spesso, è accompagnato da spontaneità, sincerità ed onestà intellettuale. Il problema è capire se e quanto un clima di “sospetto” possa nuocere alla nascita – già di per sé non agevole – di un nuovo soggetto politico.
L’altro visto come una minaccia, un problema, un pericolo è un atteggiamento piuttosto diffuso e anche comprensibile, però, forse irrazionalmente, mi sarei aspettato un clima più accogliente.
La sensazione è quella di un dejà vu. Sia per esperienza diretta, che indiretta. Solo nella recente storia del panorama politico si sono visti nascere soggetti nuovi, in cui l’elemento di maggiore rilievo era la alterità rispetto al sistema politico tradizionale, considerato corrotto ed incapace di rappresentare i bisogni dei cittadini. Nei casi in cui l’unico elemento distintivo era l’essere “diversi” questi soggetti politici si sono sciolti come neve al sole subito dopo aver conquistato le prime poltrone. Quando invece c’è anche una pulsione ideologica, dei contenuti, degli obiettivi (buoni o cattivi che siano) il soggetto può anche sperare di durare un po’ di più. In questo caso, però, iniziano i dubbi, le contraddizioni, le difficoltà a mantenere fede a propositi che sembravano naturali e irrinunciabili. Emergono invece dinamiche ineluttabili, che hanno a che fare con la gestione di potere, con i contrasti personali, con la diversità di visione di strategie e obiettivi che – inesorabilmente – portano a fratture e scontri. Ci si accorge quindi che, per quanto possano essere state rigorose le regole che ci si è dati, per quanto possano essere state meditate le scelte, il soggetto politico - che è un’entità viva, dinamica, che cambia nel tempo – si può trasformare in qualcosa d’altro rispetto a quello che era in origine. Qualcosa che, magari, non ci piace più come prima. Qualcosa che fa scelte che non condividiamo. A quel punto cosa si deve fare? Si può scegliere di rimanere all’interno e di portare avanti una battaglia democratica perché ci sia un nuovo cambiamento nella direzione opposta, oppure si può decidere di costruire un nuovo soggetto politico, il quale, in quanto “nuovo”, sarà sicuramente più puro, più pulito, più presentabile di quello “vecchio”. La storia della politica italiana è costellata di tantissime – più o meno fortunate – esperienze di questo tipo. Esperienze che dovrebbero insegnare qualcosa, anche perché le energie e le risorse delle persone che partecipano sono un bene prezioso che non si può disperdere per l’incapacità di trovare un accordo che porti a costruire davvero qualcosa.

Proviamo però a passare dalla teoria alla pratica e cerchiamo di capire le potenzialità di questo progetto e a vedere se e in che modo queste potenzialità possano tradursi in un agire politico concreto.

Obiettivi. L’obiettivo è probabilmente quello di incidere sulle scelte di chi governa e amministra. Si vuole un’economia più attenta ai diritti delle persone ed alla tutela dell’ambiente. Questo signfica mutare radicalmente alcune scelte (urbanistica, trasporti, industria, agricoltura, ecc.). Come si fa? Con la cosiddetta “moral suasion” dell’autorevolezza nostra e delle nostre idee? Non mi sembra molto probabile. Ci sono più che prestigiose associazioni ambientaliste, le cui tesi sono suffragate da studi economici e scientifici, che da anni danno indicazioni e suggerimenti, per lo più inascoltati. La via è un’altra, la stessa su cui in molti hanno fallito: entrare nelle istituzioni e “dall’interno” cercare di orientare le scelte. Su questo mi è sembrato che ci fosse un sostanziale accordo. Il problema è sul metodo e sulle alleanze. Si va da soli? Anche quando le leggi elettorali penalizzano fortemente questa autonomia? Qui si può discutere all’infinito e ognuno ha una sua opinione. E le ingarbugliate vicende politiche nostrane sono in grado di accreditare qualunque ipotesi. Indubbiamente l’assoluta solitudine difficilmente può pagare in termini di risultati. E una delle domande che bisogna sempre porsi è: quali, ragionevoli, obiettivi si intende perseguire? Perché il mondo esattamente come piacerebbe a noi non si può costruire in un anno o due, ma nemmeno in una generazione. E non perché ci sono i cattivi, i venduti e gli affaristi. Il livello socio-culturale di questo paese non è pronto a rivoluzioni eco-copernicane. Parlare astrattamente di rifiuti zero è gratificante. Poi bisogna andare dai cittadini e spiegare loro che dovrebbero modificare comportamenti e stili di vita. Nella maggior parte dei casi la reazione non sarà delle migliori. E questo vale per moltissime altre cose per le quali la percezione di benessere è completamente distorta e le persone sono davvero convinte di stare “meglio” nella situazione peggiore. Pensiamo ad una persona che deve percorrere tre chilometri nel traffico urbano. E’ convinta di fare prima e meglio in automobile, quando – in una situazione ideale – una forte riduzione di mezzi privati consentirebbe di percorrere in metà tempo lo stesso tragitto con un mezzo pubblico. Siamo certi di poter fare tutto questo da soli? Con la consapevolezza che – in democrazia – per poter andare avanti “da soli” su alcune scelte dobbiamo prima conquistarci il consenso di un parte rilevante (la maggioranza possibilmente) di quelle stesse persone che sono del tutto inconsapevoli della necessità di modificare il proprio stile di vita? Persino la Lega, portatrice di cultura e valori molto più facili da comunicare (anche e soprattutto perché basati su presupposti egoistici), ha dovuto costruire un’alleanza per poter imporre le proprie scelte. E, per farlo, ci ha messo comunque oltre vent’anni. Io non ho la soluzione. Credo solo che sia necessario riflettere con molta attenzione sui rischi che un atteggiamento troppo rigoroso possa nuocere alla realizzabilità del progetto.

Regole interne. Ho la sensazione che il nascente progetto ondeggi tra la voglia di mettere regole molto rigide per evitare che qualcuno faccia il furbo e la tentazione di essere un po’ anarchici, lasciando che il rispetto verso gli altri sia affidato al buonsenso di ognuno. Entrambe le posizioni hanno una loro ragionevole dignità. Certo, una totale assenza di elasticità crea un clima poco ospitale, ma, d’altro canto, il buonsenso è merce rara anche nel nostro ambito. Pensiamo, ad esempio, agli interventi in assemblea plenaria. Ci si è dati una regola – giusta – di limitare il tempo degli interventi affinché tutti potessero parlare. Salvo poi derogare ampiamente per qualcuno – soprattutto per i primi (che non si sono preoccupati certo di autolimitarsi) -. Si è peccato sicuramente di ingenuità, ma il risultato è stato che man mano che passava il tempo si diventava sempre più severi e qualcuno – come il sottoscritto – non ce l’ha comunque fatta ad intervenire. Altre cose non hanno funzionato al meglio e, probabilmente, qualche contrattempo è addebitabile ad un eccesso di zelo democratico, ma bisogna rendersi conto che, con le migliori intenzioni, si ottiene l’effetto opposto, ossia la sottrazione di democrazia o, almeno, di partecipazione.

Gli “altri” partiti. Sotto questo aspetto ho avuto la sensazione di una grande ingenuità. La cartina di tornasole della qualità di un soggetto non può essere la sua denominazione. Nello stesso errore incorsero proprio i Verdi alla loro nascita. I Verdi non si vollero definire un “partito” (uno degli slogan era “i partiti sono partiti, ora sono arrivati i verdi”). Ma alla fine era diventato solo un espediente dialettico. Formalmente era difficile spiegare la differenza. Tantomeno considererei affidabile un soggetto solo perché si chiama “lista civica”. Pensiamo davvero che essere “lista civica” sia garanzia di qualità? La coalizione che amministra il mio paese e che ha deturpato in modo irreversibile il territorio per avvantaggiare speculazioni edilizie è esattamente una “lista civica”, senza simboli di partito. L’unica certezza che dobbiamo avere è quella della complessità del problema e che ogni tentativo di suddividere per categorie (buoni e cattivi, nuovi e vecchi, politica e antipolitica) fallirebbe miseramente. Conosco persone che hanno fatto politica per molto tempo ed hanno mantenuto coerenza, rigore ed onestà intellettuale per tutta la durata del proprio mandato istituzionale e ne ho conosciute molte, “nuove”, che ci hanno messo pochissimo ad incarnare il peggiore degli opportunismi.

I Verdi. Ho provato una strana sensazione al conclave di Bologna. Mi sono iscritto ai Verdi nel 1987. E’ l’unica tessera di partito che abbia mai avuto. Non ho mai avuto un incarico elettivo, istituzionale o in qualche azienda grazie ai Verdi. Sono consigliere comunale, eletto in una lista civica (quindi “buona”?). A casa ho montato pannelli fotovoltaici, e un impianto di solare termico, uso lampadine a basso consumo. Produco pochissimi rifiuti e quei pochi li differenzio da sempre. Faccio parte di un gruppo di acquisto solidale. Compro preferibilmente prodotti a chilometri zero e biologici. Sono vegetariano, pacifista e mi curo con le medicine alternative. Non fumo e non foraggio così le multinazionali del tabacco. Per i miei spostamenti quotidiani vado a piedi, in bici o con i mezzi pubblici. Questo senza biasimare chi non ha fatto le mie stesse scelte.
Per 15 anni sono stato considerato da molti miei interlocutori il male assoluto e responsabile di molti disastri. Esondano i fiumi: è colpa dei verdi che non li fanno dragare. C’è traffico: è colpa dei verdi che non fanno fare le strade. C’è il black-out: chi è che non ha fatto fare le centrali nucleari? I verdi, ovviamente.
Ero andato al conclave pieno di entusiasmo e di speranza… e mi sono trovato a personificare, di nuovo e mio malgrado, il “male assoluto”. Non è importante e mi preoccupa poco, a certe cose si fa l’abitudine. Dove svolgo il mio incarico sono stato oggetto di minacce e insulti, sono stato denunciato per un reato (stampa clandestina), querelato per un altro (diffamazione), il mio vicesindaco ha promosso nei miei confronti una causa civile, chiedendomi 50mila euro di anni perché mi oppongo alla politica di devastazione del territorio.
Di responsabilità vere i verdi ne hanno più di qualcuna. Di furbi che ne hanno approfittato per fare carriera politica personale. Di scelte di governo discutibili e che io ho criticato con forza in tutte le sedi possibili. Non è questo il momento per parlarne. Penso soltanto che adesso c’è un’assenza di rappresentanza delle mie (e non solo mie) istanze nelle istituzioni. Quella promossa a Bologna potrebbe essere un’occasione per restituire rappresentanza a quei valori e alle persone che ne sono portatrici. E io ho fatto lo sforzo di dedicare un po’ del mio tempo ad “ascoltare”, sperando in un clima positivo e propositivo. I contenuti, il merito, le proposte, i valori, sono sembrati gli stessi che io porto avanti da tempo. Però, ad un certo punto, ho avuto la stessa sensazione che avevo provato in passato con altri interlocutori: quella di essere il “male assoluto”.
Forse il mio destino è quello di continuare a fare le mie battaglie (quasi) da solo. Ecoterrorista per i miei avversari, troppo ecologista per i miei alleati, troppo compromesso per chi sta lavorando ad un progetto che sembra voler rappresentare le mie istanze. Un bel progetto, promosso da persone che apprezzo e stimo, ma che rischia di arenarsi prima ancora di nascere. Nella drammatica situazione che sta vivendo il nostro Paese mi sembra da irresponsabili sciupare così questa opportunità.


Tullio Berlenghi

7 commenti:

  1. Condivido le tue riflessioni Tullio.
    Comunque le ultime tre righe mi paiono il cuore della questione.
    Io sto facendo di tutto per non sciupare questa opportunità!
    Speriamo di riuscirci, insieme.
    Un caro saluto,
    Michele Dotti

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  2. Condivido anche io, pienamente.
    Ce la faremo, vedrai, i contatti continuano è c'è la volontà da parte di moltissimi se non di tutti di trovare una strada comune.
    Era ingenuo pensare che sarebbe stato facile. Sarebbe altrettanto ingenuo pensare che a Bologna non si sia messo in moto niente.
    Pietro Del Zanna

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  3. Caro Tullio, condivido la tua analisi, ma non ti capisco quando dici “troppo compromesso per chi sta lavorando ad un progetto.... “ non puoi e non devi continuare da solo, le tue battaglie sono anche le mie, sono le nostre battaglie da sempre.
    fulvio

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  4. Grazie Michele, Pietro e Fulvio. Non volevo dare l'impressione di essere un disfattista. Forse un po' preoccupato, quello sì. Comunque la vostra fiducia mi sembra già una buona terapia. In ogni caso, Fulvio, la mia era un po' un iperbole: realmente solo non mi sono mai sentito e so bene con chi posso condividere le mie battaglie. Sono convinto, altresì, che potremmo - e dovremmo - essere molti di più...

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  5. credo che ci sia qualche equivoco di fondo in quando nessuno vuole escludere persone oneste che vogliono mettersi in gioco su spazi partecipati orizzontali ma c'è un'auto-esclusione in quanto non tutti sono abituati al confronto.
    Molti hanno evidenziato casi in cui i verdi hanno tradito il territorio e secondo me bisogna guardarsi dentro per capire la causa di tali malumori se si vuole risolvere il problema.
    Il nodo è che gran parte dei partecipanti hanno espresso l'opinione che non si può cercare speranza nelle strutture verticistiche e nel centro-sinistra. Ricordiamoci che oggi il 40% non vota. vogliamo recuperare queste persone o ci conviene così?

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  6. Tommaso, tutti coloro che erano a Bologna, Verdi compresi, hanno ben chiaro il problema.
    Ma lo possiamo risolvere ragionando insieme con calma, guardando ciascuno gli errori fin qui commessi e dandosi regole per non ripeterli. Non vi sono scappatoie.

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  7. Caro Tommaso, se c'è una cosa che non mi spaventa è il confronto. Sugli errori dei Verdi mi sono già espresso: ho contestato dall'interno le scelte che giudicavo sbagliate, guadagnandomi l'etichetta di rompiscatole. Per dirla con Moretti io sono abituato ad essere in minoranza. Tra centrodestra e centrosinistra non ho avuto dubbi e ho scelto centrosinistra (minoranza). Al suo interno facevo parte di una componente critica (i verdi, minoranza). All'interno dei verdi facevo parte della minoranza che criticava alcune decisioni. Non dovremmo dimenticarci di quello che è stato fatto (o è stato sventato) grazie ai Verdi. Tanto per fare qualche esempio: la legge sui parchi, la legge sulla caccia, la riforma del codice penale sul maltrattamento degli animali, l'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, la legge sulla mobilità cicistica, il recepimento delle direttive comunitarie sui rifiuti, l'eliminazione del CIP6 per le finte rinnovabili. Potrei andare avanti ancora. Il ragionamento che faccio adesso è molto semplice: non illudiamoci di creare il soggetto politico perfetto solo perché - essendo nuovo - non ha ancora avuto il tempo di fare cazzate. C'era una vecchia storiella di un tipo che doveva andare da un medico. Aveva il potere di sapere quante persone curate da ogni medico erano morte durante la terapia. Più i medici erano famosi e accreditati e più si registravano i decessi. Alla fine scelse un medico che aveva al suo attivo solo due morti. Scoprì solo dopo che il medico era alle prime armi ed aveva curato solo due persone...
    Vediamo le cose su cui siamo d'accordo. La struttura verticistica non la vuole nessuno, mi sembra. Sui contenuti pure. Dove sono le difficoltà: sulle regole? sulle alleanze? Le regole, per funzionare, devono essere ampiamente condivise (esistono per questo le maggioranze qualificate). Sulle alleanze farei molta attenzione, ma è uno degli argomenti su cui confrontarsi e senza pregiudizi. Su questo centro-sinistra anche io ho un bel po' di perplessità, ma, a meno che non si voglia guardare al PDL o all'UDC, l'unica alternativa è la solitudine. E' una possibilità. Non mi fa paura. Ma non mettiamola come condizione rigida e ricordiamoci che, per praticarla e ottenere dei risultati (sul territorio, sull'ambiente, sulla salute), bisogna puntare molto in alto e a me sembra che a noi manchino mezzi e risorse per raggiungere quel 40 per cento di persone (che dubito stiano aspettando noi come il messia salvifico) allontanate dalla politica.

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