13 ottobre 2010

Tra sviluppo e nuovo cemento - pubblicato su Terra di oggi.


Per quanto tempo la classe dirigente di questo paese continuerà ad associare alla parola “sviluppo” l’idea di nuovo cemento, di consumo di territorio, di degrado ambientale? Fattori giudicati sì in modo negativo (ed è già un piccolo passo in avanti), ma non eliminabili: un prezzo da pagare, un male necessario. Se si vuole sviluppo, se si vuole occupazione, se si vuole crescita economica bisognerà accettare anche qualche contropartita negativa. Quello che preoccupa è che l’illusione di nuovo benessere diventa l’espediente per realizzare speculazioni di dubbia utilità, anche misurandola con i classici strumenti economici. Pensiamo al comparto industriale ed alle mille difficoltà che sta vivendo in questa delicata fase congiunturale dell’economia mondiale. Una fase in cui si registra una consistente contrazione del settore, con aziende che chiudono e strutture e capannoni vuoti e abbandonati. Questa è esattamente la situazione in cui amministratori dotati di un minimo di buonsenso potrebbero riflettere sull’opportunità di seguire un modello di sviluppo incompatibile con la “carrying capacity” del pianeta. E’ la situazione in cui si può iniziare a pensare a forme di incentivo alla piccola economia locale, alle produzioni a chilometri zero, allo spostamento di risorse dalle grandi opere infrastrutturali (e che alimentano una perversa spirale energivora ed inquinante) alla diffusa realizzazione di piccole opere e servizi al cittadino.
Gli amministratori, talvolta, si lasciano sedurre dalle proposte di qualche abile imbonitore che suggerisce la trasformazione di immense aree agricole in aree industriali. Sta succedendo a Fara in Sabina (Passo Corese) e potrebbe succedere a Labico. I due paesi sono accomunati da scelte scellerate, calate dall’alto e prive di ogni logica di sviluppo economico e territoriale. A Passo Corese è in fase di realizzazione, in un’area di 200 ettari, un polo della logistica il cui volume iniziale era di 6 milioni di metri cubi. Con una variante urbanistica fatta dal Consorzio (che, una volta insediato, scippa al comune la gestione del territorio) i metri cubi sono diventati 10 milioni. Il tutto senza nemmeno la valutazione ambientale strategica. Situazione analoga si registra a Labico, dove l’area industriale – proposta con l’alibi di un’altra discutibile opera, quale la bretella Cisterna-Valmontone, ben lontana dall’essere realizzata, visto che, al momento, le risorse sono insufficienti - sarà di 190 ettari (ma l’estensione del comune è un quinto rispetto a Fara in Sabina) e i cui amministratori hanno sposato con entusiasmo un intervento che cancellerebbe gran parte del territorio agricolo risparmiato dalla progressiva aggressione del cemento.
Nel reatino sono attive oltre 30 associazioni che si battono contro questa speculazione sul territorio (il vero business è la plusvalenza fondiaria) e per chiedere invece di valorizzare e rilanciare l’economia agricola, una risorsa enorme (e rinnovabile) che potrebbe agevolmente coniugare il problema occupazionale con la tutela ambientale e della salute. A Labico, la cui area industriale sorgerebbe a ridosso di un’importante zona residenziale, si stanno cominciando a creare movimenti di cittadini, determinati a fermare la sciagurata ipotesi. Tra i sabini e i labicani preoccupati per la propria qualità della vita si è avviata un’importante sinergia per dare vita un fronte comune. Un’alleanza “dal basso” che metterà in rete informazioni e proposte con l’obiettivo di salvaguardare il proprio territorio, il proprio ambiente e la propria salute da scelte di sviluppo senza futuro.

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