25 agosto 2010

I (presunti) limiti dell'antiberlusconismo


 Da troppo tempo va avanti un dibattito logoro e stantio sulla presunta inopportunità dell’antiberlusconismo. I sostenitori della tesi affermano che gli attacchi personali al premier indeboliscono l’opposizione e compattano e rafforzano la maggioranza. Una delle motivazioni è che “si rischia di ripetere sempre le stesse cose”, quasi che denunciare il macroscopico conflitto di interessi e la sottoposizione di un organo costituzionale come il Parlamento alle esigenze personali del premier sia soggetto ad una scadenza come le mozzarelle. E come se la continuazione di uno stato di illegalità fosse quasi sanante dell’illegalità stessa. Cosa che – peraltro – in Italia succede frequentemente. Una volta che l’illegalità va avanti nel tempo viene tollerata dalla comunità. Non a caso la giustificazione più diffusa a situazioni di illecito è “ma l’ho sempre fatto”.
Dal versante opposto, invece, non ci si stanca mai di ripetere in forma ossessiva le critiche – talvolta nemmeno fondate – utilizzando le dinamiche del bombardamento pubblicitario attraverso slogan e frasi fatte. Ed è in questo modo che gli italiani si sono convinti di essere stati governati per decenni dai “comunisti”, che la magistratura è eversiva e che le tv e i giornali siano praticamente tutti al soldo della sinistra disfattista. Un tormentone che è stato ripetuto fino alla nausea è stato quello della mancanza di legittimità dei (pochi) governi di centrosinistra degli ultimi anni. La motivazione era che non avevano ottenuto la maggioranza dei voti. Non era sufficiente aver vinto le elezioni. Ci voleva – ad avviso dei baluardi della democrazia – anche un sostegno popolare matematicamente inoppugnabile. Ipotesi su cui si potrebbe anche essere disposti a ragionare (col rischio, però, di dover ripetere le elezioni svariate volte prima di ottenere un risultato “pieno”) a patto che valga sempre. Nessuno ha messo in dubbio la legittimità dell’ultimo governo Berlusconi che non è mai stato maggioranza nel paese (contare i voti per credere) e men che mai lo è adesso che ha perso pezzi importanti (quasi che i dissidenti non siano comunque espressione di un disagio di una parte dell’elettorato di centrodestra). Anche in questo caso però si applica il doppiopesismo. Gianfranco Fini si deve dimettere dall’incarico istituzionale, pur non essendo mai uscito dalla maggioranza, mentre nella scorsa legislatura abbiamo avuto gentucola come Sergio De Gregorio, eletto nel centrosinistra (Italia dei valori, per la precisione) che è diventato presidente di commissione grazie ai voti del centrodestra. In quel caso gli strali antiribaltone non si sono abbattuti sul voltagabbana di turno, che, anzi, è stato ricoperto di lodi e di apprezzamenti per il cambio di casacca.
E’ ricicciato persino Veltroni - l’alleato n. 1 di Berlusconi, il quale nel 2008, non pago di avergli spianato la strada alle politiche, ha pensato bene di dargli in omaggio anche la città di Roma -per indicarci la strada da seguire. No all’antiberlusconismo, ma battere Berlusconi con una proposta politica. Sarebbe quasi un’idea ragionevole se la proposta politica che viene avanzata non fosse una fotocopia sbiadita di quella del cavaliere, che ci si ostina ad inseguire sul suo terreno perdendo voti e credibilità.
Credo sia sbagliato il presupposto su cui si basa la critica all’antiberlusconismo. La mia – e quella di milioni di italiani – non è un’antipatia personale, non è un livore viscerale, quasi si trattasse di un vecchio rancore privato mai superato. Personalmente non ho proprio nulla contro mister B.: lo ritengo semplicemente inadeguato a guidare il Paese e pericoloso per la democrazia e le istituzioni. Non credo serva molto altro. Nel doloroso passaggio dal fascismo alla democrazia non si era “antimussoliniani”, ma più semplicemente “antifascisti” ed anche in quel caso si diede vita ad una larghissima maggioranza che servì a restituire al paese un ordinamento democratico, egualitario e rispettoso dei diritti fondamentali dei cittadini. Poi, affermati i principi irrinunciabili, si è potuto ripartire con le dinamiche caratteristiche di una democrazia, non del tutto impeccabili, ma sempre senza intaccare i valori fondanti della nostra Repubblica. Ecco, adesso quei valori sono in pericolo e, come allora, c’è bisogno di riaffermarli e tutelarli. Solo dopo si potrà tornare ad una “sana” dialettica politica per decidere come governare il Paese.

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