28 luglio 2010

Chi ha paura di Niki Vendola?



Niki Vendola ha fatto una scelta coraggiosa. Ha deciso di aprire un dibattito sulla leadership della coalizione di centro-sinistra (non mi ricordo mai se con o senza il trattino…). Ha rotto gli schemi. Quegli schemi stantii e ammuffiti a cui sono tanto affezionati politici e politicanti “vecchi”. E l’aggettivo non è riferito al dato anagrafico, ma all’incapacità di mettersi in discussione. E la cosa più divertente è l’assoluta mancanza di argomenti di chi sostiene che non si debba parlare della guida di una coalizione che si candida a governare il Paese. Le frasi che si sentono dire sembrano giustificare un modello consuetudinario, non necessariamente valido in sé, ma che nessuno ha mai osato cambiare. Ma la domanda è: perché no? Perché non si può scegliere adesso? E perché poi il diritto di veto lo esercita chi, irresponsabilmente, ha promosso la teoria fallimentare dell’autosufficienza regalando il Paese ad una destra, talmente impresentabile da creare imbarazzo al suo stesso interno?
La proposta di Vendola è una proposta di chiarezza, di trasparenza, di democrazia. Chiede un confronto. Chiede di parlare di programmi, di contenuti, di progetti per il futuro del Paese. Non si può fare adesso? E per quale ragione? Magari solo perché non si hanno argomenti o personalità da contrapporre?
Qualcuno sostiene che non si conosce neppure la data delle elezioni. Questo – a mio avviso – dà la misura di una visione della politica sbagliata. Una politica che pensa che le scelte vadano fatte esclusivamente in funzione delle elezioni. Ed è la ragione per cui si registra un così netto distacco tra la politica e il paese reale, che è fatto di persone. I cittadini, invece, sembrano essere visti solo come elettori. E una coalizione è vista come un cartello elettorale, non come un’entità che si faccia interprete delle esigenze e dei bisogni dei cittadini per trasformarli in proposte e azioni. Si cita troppo spesso – e talvolta a sproposito – l’aforisma di De Gasperi sulla differenza tra il politico e lo statista. Il primo sarebbe capace di guardare solo alle prossime elezioni, il secondo alle prossime generazioni. Magari capisco che non sia facile preoccuparsi sul serio delle generazioni future (che, per definizione, nell’immediato non votano), ma almeno cercare di pensare anche a qualcosa d’altro che non siano le strategie di potere e le prossime elezioni sarebbe già un bel passo avanti.

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