5 luglio 2008

Cronache dal consiglio

Noi di Cambiare e Vivere Labico abbiamo sempre criticato la modesta disponibilità al confronto istituzionale dei nostri amministratori. Dopo le elezioni del 27 maggio 2007 si è tenuto un solo consiglio prima della pausa estiva (quello del 16 giugno era esclusivamente di insediamento) il 3 agosto. Per una successiva convocazione è stato necessario attendere quasi due mesi (28 settembre).
Gli intervalli successivi sono stati mediamente di un mese e mezzo. Il record è stato battuto durante il periodo delle elezioni amministrative, complice probabilmente la candidatura del vicesindaco alle provinciali, durante il quale l’intera amministrazione comunale è stata mobilitata per la campagna elettorale e quindi non c’era certo tempo da perdere in attività amene come i consigli comunali. Settanta i giorni di inattività in quella circostanza.

In passato noi avevamo provato a chiedere la convocazione di un consiglio per affrontare alcune questioni, abbiamo chiesto di dare spazio pubblico alle risposte alle interrogazioni consiliari, abbiamo chiesto momenti di dibattito sulle principali esigenze della collettività. Niente da fare. Il tempo non si trovava. Ci si limitava agli argomenti indifferibili (come il bilancio comunale) o a quelli che rivestivano un interesse “particolare” (vedi lottizzazioni). Le osservazioni alla variante al piano regolatore generale erano state depositate da tempo e, con un po’ di buona volontà, si sarebbe potuto iniziare ad esaminarle già dall’estate scorsa. Non si è fatto. E’ trascorso più di un anno e, adesso, ai nostri amministratori è venuta una improvvisa fretta. Così, a partire dal 6 giugno, stiamo facendo un consiglio comunale ogni settimana.
Si lavora male, spesso senza la documentazione, e non c’è mai tempo per la redazione dei verbali.
La loro intenzione sarebbe quella di approvare frettolosamente i pareri sulle osservazioni, senza dibattito e senza approfondimento, e si stupiscono del fatto che noi sentiamo l’esigenza di valutare ogni singola osservazione e di chiedere quali siano i criteri che ispirano le scelte della maggioranza. Per questo nostro desiderio di applicarci con serietà e completezza all’esame delle osservazioni veniamo tacciati di ostruzionismo. Non lo è invece, a quanto pare, iniziare la seduta con un’ora e un quarto di ritardo (ma la media è intorno ai 40 minuti) o sospenderla per “impegni del sindaco” alle ore 14, quando ci sarebbe ancora tutto il tempo di proseguire i lavori.
Noi avevamo proposto un criterio per esaminare le osservazioni: prima quelle di carattere generale, poi quelle relative ad aree circoscritte riunite per ambiti territoriali.
All’inizio non ci hanno dato retta e hanno iniziato a creare una gran confusione con notevoli difficoltà di una valutazione complessiva. Poi hanno finalmente capito e hanno adottato la nostra impostazione, salvo escludere le osservazioni di carattere generale, con l’evidente intento di vanificarne le finalità. Appare difficile fare un vero e proprio resoconto delle ultime sedute del consiglio comunale, attesa la grande quantità di osservazioni esaminate e l’acceso dibattito che è scaturito da molte di esse.
Alcune cose però meritano di essere riportate, proprio perché danno la misura di come la visione dei nostri amministratori dipenda in modo pressoché esclusivo da considerazioni di tipo particolaristico.
In primo luogo va sottolineato che l’impostazione complessiva del piano è finalizzata ad interessi ben precisi, che non sono quelli della collettività. I primi a guadagnare dall’elaborazione del piano sono i costruttori, poi, via via, si sono affermate piccole logiche di bottega che hanno dato vita ad un piano sconclusionato e disarticolato, privo di ogni criterio urbanistico. Tutto questo lo stiamo dicendo da un anno e mezzo e continueremo a farlo. Ovviamente partendo da questi presupposti i miglioramenti diventano difficili, perché la quasi totalità delle osservazioni sono orientate alla tutela di interessi individuali e pertanto ognuna di esse determina – in caso di accoglimento - una contrazione di quelli collettivi. Bisognerebbe pertanto avere un quadro di quanto ogni singolo accoglimento fa aumentare la cubatura complessiva, il numero di abitanti potenziale, la quantità e qualità di servizi e di standard che si rendono necessari, soprattutto se si tiene conto che questi aumenti comportano inevitabilmente la riduzione proprio di quegli standard che bisognerebbe aumentare per far fronte alle mutate esigenze del paese. Questa domanda la pongo ogni volta all’assessore all’urbanistica. Mi sembra una prassi di elementare buonsenso fare un po’ di conti prima di avviare qualsiasi programmazione. Se un albergatore ha camere in grado di accogliere un certo numero di clienti (la popolazione) e dei locali destinati al benessere della clientela - bagni, cucina, ristorante, hall, sala TV, ecc. – (standard urbanistici) e decide, per aumentare il proprio fatturato di aumentare il numero di stanze a scapito dei servizi, deve capire fino a che punto può rinunciare a determinati spazi per evitare di ridurre la qualità. Altrimenti rischierà di raddoppiare il numero delle stanze, ma di perdere tutti i clienti, poco attratti da un albergo scadente. Certo per gli abitanti di Labico è un po’ più difficile andarsene, ma qualche conto l’assessore dovrebbe farlo. Lui continua a dire che non lo sa e che mica può sapere cosa deciderà il consiglio sulle singole osservazioni. La mia reiterata richiesta di una programmazione territoriale più attenta lo infastidisce. Afferma esplicitamente che se non capisco è un problema mio. Eh no, caro assessore, non è un problema mio: è di tutto il paese se viene amministrato con questo pressappochismo.
Non abbiamo certo lo spazio per fare un resoconto di tutte le osservazioni esaminate, ma credo sia utile citare sinteticamente alcuni passaggi importanti: Una prima questione riguarda una zona destinata ad area commerciale che si estende per circa seimila metri e che il ricorrente chiede di ampliare ulteriormente. Un discreto vantaggio economico per chi già era stato beneficiato dalla variante (il resto dell’area è rimasto agricolo). Faccio al sindaco alcune domande specifiche. Si parla di zona ricreativa e ricettiva. Di che genere? Ci sono già progetti? Cosa si prevede esattamente? Il sindaco non risponde. Brutto segno. O non sa le cose (e qualcuno gliele deve ancora spiegare) o si rifiuta di rispondere.
Che sia per incompetenza, arroganza o volontà di nascondere alla collettività i propositi dell’amministrazione il silenzio del sindaco è un segnale inquietante e non va sottovalutato.
Su Colle Spina succede qualcosa di molto divertente. Un “errore” della cartografia inserisce tre particelle edificabili (con tanto di permesso di costruire) tra gli standard, mentre quelle dove dovrebbero esserci gli standard sono considerate edificabili. I cittadini si ritrovano quindi con degli interessi legittimi da tutelare (e i ricorsi vanno in questa direzione) mentre la collettività probabilmente dovrà rinunciare agli standard. Con l’occasione si fa un gran disquisire sul fatto che gli spazi ad uso pubblico verranno individuati nella pianificazione di secondo livello.
Si userà spesso questa argomentazione per giustificare la continua eliminazione degli standard. Non ci crede nessuno, loro per primi. Anche perché basta vedere come hanno condotto le lottizzazioni fino ad ora per capire in che considerazione tengano gli interessi della collettività: strade strette, parcheggi quasi inesistenti, marciapiedi fantasma, giardini pubblici chimera e via dicendo. Come facciamo a fidarci? Un altro punto interessante riguarda una richiesta di inserimento di un’area nella zona ad uso turistico ricettivo.
La commissione consiliare, presieduta dal sindaco, boccia senza appello la richiesta. La motivazione è avvincente: “in quanto esiste, senza dover operare alcun cambiamento della variante al PRG, la possibilità concreta di avvalersi degli organi regionali competenti i quali, dietro presentazione di un serio studio di fattibilità possono approvare attività agrituristiche recettive”. Al netto dell’incerto uso della lingua italiana e dell’uso di formule burocratiche sembra di poter affermare che la variante al PRG la si può fare solo per la proprietà del sindaco (nella quale ricadono i 58mila metri quadrati di attività turistiche-ricettive dell’intero comune). Gli altri, i cittadini normali, se proprio ci tengono, possono provare a presentare un progetto in Regione. La questione è troppo scandalosa per poter passare inosservata e lo facciamo presente a chiare lettere. Utilizzano il poco pudore residuo per decidere di ritirare l’osservazione e riportarla in Commissione.
Dopo tre settimane non hanno avuto ancora il coraggio di riportarla in consiglio.
Notevole il parere su una specifica osservazione in cui si evidenzia la presenza di un “accordo bonario” tra un osservante e l’amministrazione, con cui si giunge ad una specie di compromesso su come modificare la destinazione urbanistica di una particella. Ci sembra una procedura quantomeno singolare e al limite dell’ammissibilità. Chiedo chi e a che titolo abbia concluso questo fantomatico accordo a nome dell’amministrazione. Ovviamente nessuna risposta. Solo qualche sguardo imbarazzato. Abbiamo chiesto formalmente tutti gli atti relativi a questa inedita procedura amministrativa. Inutile dire che stiamo ancora aspettando.
Altro passaggio interessante è quello relativo all’area di Colle Alto, ossia una parte dei cosiddetti “lotti”. Una zona dove si è sviluppata una “edificazione spontanea” e che la variante al PRG ha incluso in gran parte nella zona “di recupero” per inserirla più compiutamente nel tessuto urbanistico, tenendo conto dei numerosi provvedimenti di sanatoria che si sono succeduti negli anni. Questo è avvenuto quasi dappertutto, tranne nella zona di Colle Alto che, per insondabili ragioni, è rimasta agricola, pur essendo ormai destinata di fatto ad uso prevalentemente abitativo.
Facciamo presente l’irragionevolezza della decisione e la diversità di trattamento che non viene giustificata da alcun criterio. Sottolineiamo che non solo ci sono particelle escluse che hanno gli stessi requisiti di quelle inserite, ma si è anche accolto l’inserimento di particelle non contigue e prive di edificazioni. Insomma tutto senza una logica apparente. Nel respingere le numerose richieste la commissione aveva stabilito che le aree potevano essere considerate “sature e saturabili”. Prendiamo le norme tecniche e facciamo notare che questo significa sostanzialmente considerarle zone di recupero, come richiesto dagli osservanti.
Tentennano. Non hanno le idee chiare. Non hanno neppure le norme tecniche. Le prestiamo noi. Guardano le carte. Il vicesindaco propone di lasciarle come zone agricole.
Il sindaco non è d’accordo. Sospendono la seduta per riflettere (quando siamo noi a chiedere la sospensione di solito ce la negano). Quando rientrano il vicesindaco sembra contrariato. Si vota l’osservazione specificando il significato da attribuire alle zone “sature e saturabili”. La maggioranza vota a favore. Il vicesindaco non partecipa.
E’ proprio contrariato. A questo punto si rinvia alla seduta successiva. Il commiato tra sindaco e vicesindaco non è propriamente amichevole. Non è dato sapere se questa improvvisa autonomia abbia causato più sorpresa o più irritazione. E nemmeno se e quanto sia destinata a durare.
I bookmakers dicono “poco”. Si accettano scommesse.

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