3 gennaio 2006

La frana sulla ferrovia

Aldo: "Questa roccia e' franabile!". Giovanni: "Se mai e' friabile...". Aldo: "Ma questa qua frana, mica fria!". Questa memorabile gag surreale di Aldo, Giovanni e Giacomo, alle prese con un’arrampicata su un costone, continua a venirmi in mente dal giorno della frana che ha portato Labico agli onori della cronaca regionale. Un ben mesto motivo di popolarità e che tutti i labicani si sarebbero volentieri risparmiati.
A mente un po’ più calma credo che sarebbe opportuno fare qualche riflessione sulla vicenda in particolare e cercare di allargare gli orizzonti alla più generale gestione del territorio. Per quanto riguarda quello che è successo occorre sottolineare alcuni aspetti, serenamente e con razionalità:
- un ammasso di terra e detriti che scivola lungo un pendio per alcune decine di metri e finisce sopra una delle più trafficate arterie ferroviarie del paese è un evento di enorme gravità e solamente per puro caso non ci sono state conseguenze tragiche;
- la zona in prossimità del dirupo è stata dichiarata edificabile nel vecchio piano regolatore;
- sembra fosse abitudine diffusa – da parte delle ditte di costruzioni – abbandonare le terre di scavo lungo la parte sommitale del costone, senza che nessuno (o quasi) abbia mai espresso perplessità in proposito;
- sia il Comune che Trenitalia, per diversi aspetti e con livelli diversi di responsabiltà, erano tenuti a vigiliare sullo stato di stabilità del costone e valutare l’opportunità di intervenire per mettere in sicurezza l’area;
- il costo economico per la collettività di quanto è avvenuto è enorme e gran parte di esso non verrà indennizzato in alcun modo, a cominciare dalle ore (e in alcuni casi giornate) di lavoro perso da migliaia di pendolari, che pagheranno così di tasca propria le altrui responsabilità.
Vorrei sottolineare che questa non è che la punta dell’iceberg di un modello urbanistico che io sto criticando da tempo e che antepone gli interessi di chi costruisce a quelli di chi le case le va ad abitare. Un modello urbanistico che permette di realizzare abitazioni là dove il buonsenso (non la perizia geologica: il buonsenso) consiglierebbe di non farlo; un modello urbanistico che punta su edificazioni ad alto profitto e a bassa vivibilità, con spazi abitabili insufficienti e l’implicito invito ad usare per civile abitazione le parti dell’immobile con destinazioni diverse; un modello urbanistico che si esaurisce nella costruzione delle case, ma che nulla prevede (e fa) per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria; un modello urbanistico in cui sono insufficienti (o completamente assenti) quegli standard urbanistici (scuole, piazze, marciapiedi, giardini, servizi, verde pubblico) che distinguono una vera città da una borgata.

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